Qualsiasi erudito quando si immagina la Divina Commedia di Dante, la associa a delle immagini.
O meglio, lo associa a delle illustrazioni.
Non si può fare a meno di interpretare l’immaginario dantesco secondo le immagini che ci sono rimaste impresse nella memoria.
Per quanto Dante sia stato bravo, per non dire superbo, a tratteggiare gli affreschi ultraterreni come le più sottili vicende tra alunno (Dante) e maestri (Virgilio e Beatrice), come le tanto famose scene con Francesca, l’austero Farinata degli Uberti… ci ricordiamo più delle immagini che hanno fornito gli illustratori che non di quelle che ci hanno suscitato i suoi versi.
La nostra memoria di Dante sarebbe incompleta senza il lavoro di questi illustratori, il cui compito, per l’appunto, è stato, non tanto quello di tradurre la poetica dantesca, quanto quello di immaginarla al posto nostro.
È questo il lavoro di un illustratore, non di traduttore, non di interprete, non di “primo lettore”, ma di intermediario tra l’immaginazione dell’autore e quella del lettore.
Le loro illustrazioni si sono incise nei volumi che hanno fatto la storia così tanto da determinare persino la nostra memoria.
È impossibile ricordarsi della Commedia – e parliamo anche di chi l’avesse imparata a memoria per farne sfoggio di fronte a un pubblico – senza delle immagini.
La nostra memoria – come quella di quei campioni mnemonici – non procede dal verso dantesco verso l’immagine. Ma all’opposto: parte dal ricordo dell’immagine per poi sfociare al ricordo del verso.
Fra tutte le illustrazioni ce n’è una, o meglio, si tratta della foto di un affresco che accompagna sempre i manuali danteschi e che, si può dire, ha fissato nella nostra immaginazione il volto stesso di Dante.
Il suo autore è Domenico Michelino; il sito in cui viene conservato è il Duomo di Firenze.
In questo affresco viene rappresentato, come in un riassunto supremo, tutta la Divina Commedia.
Esso rappresenta Dante con una tunica rossa, con in mano, aperto, il suo poema.
A destra le mura che cingono la città di Firenze, a sinistra quelle che cingono la “Città di Dite”: l’Inferno.
Dietro si scorge la montagna del Purgatorio – scalata da anime affaticate e appesantite – e nella cui cima svetta il Paradiso Terrestre.
Sullo sfondo, nel blu della volta celeste, le stelle fisse dei santi e degli angeli, si stagliano i sette cieli a mo’ di divino arcobaleno.
L’unico problema dell’opera, però, è che si tratta di un affresco unico.
Le illustrazioni invece, con la loro struttura e la loro organicità, hanno il compito di accompagnare il lettore in un percorso parallelo a quello dei versi stessi, canto dopo canto, scena madre dopo scena madre, volto dopo volto, come a volerli spiegare.
È un secondo livello di lettura, prettamente visivo, che ha il compito di facilitare il primo, quello della scrittura stessa.
Ma l’illustrazione, non si sbagli, non sostituisce certo il verso.
Anche perché le illustrazioni vengono dopo l’opera, non prima.
Ed allora a che cosa servono le illustrazioni?
A completarla.
L’illustrazione è tanto forte – perché immediata – da riuscire a interpretare una scena, ma non lo è così tanto da sostituirla, e la sua importanza si fa così centrale che non si può più capire il testo senza le illustrazioni, come le illustrazioni senza il testo.
E tra tutte le illustrazioni della Divina Commedia che possono esserci passate mai sotto gli occhi e che conserviamo tutt’ora integre nella nostra memoria pronte ad affacciarsi di nuovo non appena un verso familiare le evochi, le più famose – oltre a quelle del francese Gustave Doré – presenti in ordine sparso, alla rinfusa e spesso tagliate a metà dalla fretta degli stampatori, sono quelle di uno degli artisti rinascimentali più illustri.
Molti miniaturisti prima di lui avevano tentato di illustrare la Divina Commedia.
Il poema aveva affascinato un po’ tutta Italia da che era nato. Addirittura aveva già fatto parlare di sé quando il suo autore era ancora in vita.
Ma nessuno era riuscito a dare un contorno completo al disegno.
I miniaturisti, come a corto di ispirazione, erano stati soliti fermarsi a metà, sul più bello, tanto che fino a inizio del Cinquecento non esisteva una sola opera della Divina Commedia illustrata integralmente.
Le illustrazioni venivano tagliate, interi canti venivano saltati, e nella cantica del Paradiso solo alcuni temerari avevano osato addentrarsi come se fossero stati di fronte ad una sfida troppo alta.
Ma la Divina Commedia richiedeva una sua rappresentazione visiva, la pretendeva.
Occorreva un uomo degno di questa missione, un «cervello stravagante», come ebbe a definirlo il Vasari: Sandro Botticelli.
Anche se a tutta prima poteva non sembrare così.
Nella Pleiade artistica del Rinascimento, Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici – cugino di Lorenzo il Magnifico e committente e mecenate della prima illustrazione integrale della Divina Commedia – non avrebbe potuto scegliere artista apparentemente meno indicato per un compito di questo genere.
Lorenzo aveva già avuto il piacere di commissionare Botticelli, tanto che i suoi quadri più celebri, la Primavera e La nascita di Venere, erano in casa sua che posavano.
Botticelli però non era mai stato un artista regolare.
La sua produzione pittorica era sempre stata frammentaria, occasionale, eterogenea, poiché aveva seguito sempre l’estro e il committente del momento.
Per quanto Botticelli fosse stato un ottimo lettore dei classici, per quanto avesse amato i miti greci al pari delle allegorie medioevali, per quanto avesse unito il sacro al profano, per quanto avesse apprezzato in maniera uguale il De Rerum Natura di Lucrezio come le Stanze del Poliziano, la sua arte, riassunta nella linea botticelliana, aveva catturato solo le ispirazioni di un attimo.
In foto possiamo vedere la Copertina del libro della Divina Commedia con tutte le Illustrazioni di Sandro Botticelli, acquistabile dal sito web della Casa Editrice Le Lettere.
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I pesci piccoli devono muoversi velocemente se non vogliono essere divorati.
Quelli grossi non fanno altro che mangiare quelli che rimangono indietro.
Il Team della Tofani Dreams lo sa bene.
Quasi tutti i membri che lo compongono, prima di iniziare il percorso in questa azienda fuori dagli schemi, facevano parte di aziende considerate “Pesci Grossi” nei rispettivi settori.
Eppure, attualmente NON siamo i N.1, e verremmo divorati anche noi se non ci sforzassimo al massimo.
Per questo motivo:
Per noi non esistono “giorni di pausa”. Non possiamo permetterceli.
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Siamo sempre a controllare gli aggiornamenti di mercato, a testare nuovi metodi, ad analizzare nuovi trend, ad assicurarci che le strategie che mettiamo in campo aumentino il fatturato abbassando i costi, e a studiare e testare nuove tecniche da implementare. Il più grande vantaggio?
Non essendo dei pesci grossi, chi viene a trovarci non si sente come una sardina pronta ad essere mangiata.Alberto Tofani - Founder&CEO
Le rivoluzioni pubblicitarie sono una vera e propria caccia ai “giacimenti di petrolio”: fanno la fortuna dei primi che li scoprono.
Ma prima di spiegare il nuovo tipo di pubblicità che sta rivoluzionando tutto il settore pubblicitario, è importante analizzare i “metodi antenati” che lo hanno preceduto.
Attualmente in Italia chi vuole fare pubblicità ha a disposizione 3 opzioni:
Pubblicità Visual:
Molto piacevole all’occhio ma estremamente costosa. Anzi, la più costosa di tutte.
Non porta il cliente a comprare o a trasformarlo in un contatto commerciale. Si limita ad attirare la sua attenzione e ad intrattenerlo.
La sua efficenza è difficile da misurare. Attualmente è la pubblicità predominante sul mercato.
Si focalizza sulla propria immagine da trasmettere al pubblico. Potremmo definirla una pubblicità narcisista.
Pubblicità Informativa o di Contenuto:
A differenza di quella d’Immagine, questa tipologia di pubblicità punta ad informare il cliente su eventuali benefici tramite i contenuti.
Mantiene attivo l’interesse dei clienti già appassionati all’azienda o al prodotto.
Uno dei suoi principali limiti è che risulta noiosa e difficilmente attira l’interesse di potenziali nuovi clienti.
Non è semplice inoltre, come nella precedente, misurarne l’efficenza.
Ci vogliono un’immensità di contenuti prima di vedere i risultati.
Pubblicità a Risposta Diretta:
È la tipologia di pubblicità usata nelle televendite da anni e da molti Fuffatariani.
Sa catturare l’attenzione del potenziale cliente e pilotarlo da un punto di vista commerciale, trasformandolo in cliente a tutti gli effetti.
Spiega alla perfezione i benefici che può ottenere il cliente con il prodotto.
La sua principale caratteristica è che si basa sulla misurazione dei dati, e quindi possiamo misurare la sua efficenza. A livello di “conversione” è migliore rispetto alle due tipologie di pubblicità precedenti.
Tra i difetti possiamo annoverare la sua scarsa piacevolezza visiva percepita sia da chi la usa che, paradossalmente, da chi la vede.
Danneggia l’immagine aziendale a lungo termine ed è difficile da scalare sul mercato di massa.
Un mix delle tre pubblicità sopra citate, non sappiamo se abbia un nome, e non ci sentiamo cosi all’avanguardia da dargli un nome.
Gran parte delle agenzie pubblicitarie italiane si focalizza sul traffico, clicks, followers e likes.
Aiutano il proprio business?
Sì, ma non a sufficienza per sopravvivere, visto che non si possono usare per fare la spesa né metterli in banca.
Un’agenzia dovrebbe focalizzare le campagne sul ROI (Return of Investment – Ritorno sull’investimento) e sul ROAS (Return On Advertising Spent). Ovvero alla pianificazione di strategie di marketing che moltiplichino le vendite e quindi i profitti provenienti dagli investimenti stessi.
Per fare ciò servono però delle tecniche e dei software da usare per misurare i dati, così da poter prevedere i risultati ed il comportamento del mercato.
Questo non solo serve a pianificare una strategia su misura per aumentare le vendite, ma anche a correggere eventualmente la strategia in corso d’opera, ed aggiustarne il tiro.
Il motivo per cui molte agenzie in italia non si focalizzano sul ROI, è proprio per i costi di messa in opera, manutenzione, professionisti necessari e tempo da dedicare ad ogni singolo cliente.
Si sa, in Italia tutti vogliono guadagnare il più possibile facendo il minimo necessario.
Non solo, i professionisti che di solito approfondiscono ed iniziano a sviluppare (anche in proprio) campagne basate sul ROI, lo fanno dopo aver capito quanto bisogni lavorare sodo, rimanendo aperti al cambiamento, ben disposti ad investire sul proprio business e sapendo aspettare i risultati.
Di fatto, e non è un segreto, qualunque azienda che non abbia la volontà di reinventarsi è a rischio.
Niente deve essere lasciato al caso: tutto va misurato e studiato nel minimo dettaglio. Solo in questo modo si può sapere qual’è la via migliore da percorrere.